
Stamattina, mentre camminavo su uno dei marciapedi della via Roma, sentivo dietro di me due tizi che discorrevano in una lingua ormai a noi familiare anche se ancora incomprensibile e, chiacchierando con quel linguaggio rapido e gutturale proprio degli Arabi, dovevano dirsi cose allegre, perché uno dei due rideva.
La risata era talmente accattivante e contagiosa da indurmi, quasi automaticamente, a farle discretamente...eco.
Sorpassandomi, i due - erano giovani extracomunitari - mi guardarono incuriositi, come per dire:"Ma tu ci hai capito?".
A quella muta domanda, stando un po' al gioco, io risposi "sì" col capo e per rendermi credibile dissi:"kasùc", l'unica parola di quella loro lingua, ormaì a noi familiare e tuttavia incomprensibile, che io ho sempre creduto di conoscere. Pronunciai "kasùc", e ciò dovette essere la mia "password". I due giovani si guardarono negli occhi sbalorditi, e uno disse in stretto siciliano: "Ma chistu ndì capiù".
In realtà io non avevo capito un "kasùc".
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