
Devo confessare che raramente mi capita di partecipare ad incontri in cui si presentano libri di poesie: eppure non ne mancano, visto che non sono pochi, anche nella nostra città, coloro che si dillettano a scrivere versi e, spesso anche se non sempre, a farli pubblicare. Stasera, avendo appreso che la Fidapa ne organizzava uno, da tenersi nell'auditorio della stazione vecchia, per la presentazione di una raccolta di poesie di un giovane giornalista compaesano, Saverio Vasta (omonimo del nonno sarto che, quand'ero ragazzo, confezionò il mio primo cappotto e per il quale ho nudrito grande simpatia) m'è venuta voglia di andarci, un po' per curiosità, un po' per la stima che porto alla sua famiglia. Nella sala, un pienone di gente acculturata era in attesa di ascoltare: l'annunciata relazione del prof. Dario Tomasello; una lettura dei versi affidata all' attore Giovanni Corica e alla professoressa Zina D'Amico; un paio d'intermezzi musicali eseguiti da Pasqualino Conti, Giuseppe Cusimano e Antonio Vasta. Lo stimolante titolo della raccolta - "Lo spergiuro del gallo" - faceva presagire un altrettanto efficace commento da parte del "critico". Il quale ha iniziato affermando di conoscere bene l'autore, anche perchè suo alunno. Però, se ho capito bene, il relatore avrà pure conosciuto personalmente Saverio, ma avrà letto altrettanto bene le sue poesie? Sinceramente devo dire che la sua relazione m'ha fatto sospettare ch'egli non abbia indugiato più di tanto nella lettura di quella raccolta - 49 brevissime composizioni - e che si sia contentato d'una scorsa a volo d'uccello, ricavando un'impressione che gli ha fatto vedere nella poesia del giovane Saverio Vasta solo l'aspetto particolarmente influenzato dalla tecnica di Bartolo Cattafi. Che ci sia lo stile cattafiano, difficile negarlo, ed è anche scusabile, data la giovane età dell'autore. Ma non si dovrebbe trascurare che dentro, il giovane poeta, ha saputo metterci parecchio del suo sentimento, delle sue impressioni, dei ricordi di quand'era ragazzino, della tenerezza per quel nonno quasi centenario, ed anche un po'della sua fede. Quindi pensare che la maggiore preoccupazione operativa di Saverio sia stato il modello anziché il contenuto, a me sembra inesatto. Avrà certamente limato, scarnificato, rimodellato, ma l'avrà fatto sempre cercando di dare il massimo risallto a ciò che sentiva e pensava. Altrimenti che poesia sarebbe, la sua? Epigono sì, ma anche poeta. Così credo che sia giusto dire di Saverio Vasta.
Francesco Cilona