E’ nata dalle sue ceneri, più  bella di prima.
E’ l’araba fenice.
Dopo mezzo millennio di vita  nutrita da un cibo speciale – perle d’incenso – il mitico uccello arde su un rogo per risorgere subito dopo dalle sue ceneri, più bello, più puro, più forte di prima. Il magico pennuto, considerato il simbolo della  resurrezione, potrebbe un giorno essere il simbolo della rinascita della nostra città, che, bruciando l’andazzo che scombina  la vita in comune, riacquisti l’armonia faticosamente raggiunta due secoli or sono, quando si fusero le due comunità di Pozzo di Gotto e Barcellona.
Non fu facile allora  unificare gli spiriti delle due “popolazioni”, che per anni erano state divise dallo storico torrente Longano.
 Per decenni ancora, dopo quella storica fusione, il campanilismo esacerbò i rapporti tra pozzogottesi e barcellonesi, tra “nfummicati” e “mangiacagnoli”, non ci fu serata senza che si registrassero, nei pressi del bastione che tagliava la via Operai, scontri tra gruppi di teste calde di entrambe le fazioni. Sassi e bastoni erano le armi comuni, e le botte da orbo erano all’ordine…della notte. Poi a poco a poco, la città si allargò, la via Operai scavalcò il torrente, Pozzo di Gotto divenne Barcellona e Barcellona diventò Pozzo di Gotto.
A rimarcare il divario restò tuttavia qualcosa: le due processioni delle Varette, che  finalmente, alla fine del ‘900, dopo lunghi litigi, riuscirono ad incontrarsi e a guardarsi in tralice, sulla copertura del Torrente di storica memoria.
Comunque una certa armonia si è raggiunta, anche se ancora permane un po’ di quello spirito campanilistico.
Quello che invece  ha dato una mano a disarmonizzare la nostra vita è stata la conduzione della cosa pubblica, che in tanti anni non è riuscita a far progredire questa nostra comunità, né sul piano ambientale, né su quello produttivo, né su quello comportamentale. Spesso s’è fatto più fumo che fuoco. Anzi, addirittura, è mancato quel fuoco che, come per l’araba fenice, arde soltanto per rendere più belli, più puri, più forti.
CIFRA




Quanto hai scritto, nel tuo commento, mi sembra un buon auspicio in questa direzione. Mostrare sia il bello, sia il brutto è un po' la prassi di chi ama l'obiettività: e su questo non ci piove. Peccato che il brutto, purtroppo, si mostra da sè, ma chi dovrebbe vederlo finge di non accorgersene. Ed allora, giocoforza, occorre qualche sferzata, anche se capita che i colpi incidano poco o niente su certe facce di bronzo. Il bello, spesso, rimane occulto e starebbe a noi "tirarlo dal ventre", come retoricamente ha detto recentemente l'amico Rino. Quando sottolinei la necessità di valorizzare i beni culturali (pochi quelli esistenti e, in parte, latenti ndr), ed esprimi nel contempo la speranza che voi giovani nutrite: cioè che "chi di dovere" cominci a vergognarsi, in altre parole fai eco alla nostra "caduta di braccia" di fronte a chi, pur avendo il dovere precipuo di muoversi, delega gli altri a far partorire alla città i beni culturali di cui sarebbe "pregna".
