Opg: Lettera aperta al sen. Marino 
   Egregio Senatore Marino,
 
a  proposito dell’ormai periodico “gran baccano” che sistematicamente si  imbastisce sulla situazione delle carceri di questo Paese e, da ultimo,  sui fin qui sempre dimenticatissimi ospedali psichiatrici giudiziari,  sarebbe opportuno che finalmente fosse data la parola a chi queste  realtà le conosce davvero e vi lavora da gran tempo in condizioni di  assoluta carenza di risorse economiche e professionali. Ad essi (ed a  quei pochi, ma grandemente benemeriti, gruppi di volontari che hanno  costituito le coraggiose, quanto sparute, avanguardie di una società  civile sostanzialmente assente e distante su questa come su tante altre  questioni tragicamente irrisolte dell’Italia centocinquantenaria)  bisognerebbe dire solo grazie!
Veda,  Senatore Marino, queste persone sono quelle che da anni chiedono, con  tutte le loro forze, che gli O.P.G. siano presi in considerazione per  essere messi in condizioni di funzionare e, quindi, profondamente  riformati. Sono decenni che tutti, direttori ed operatori, gridano nel  deserto, invocando interlocuzioni a livello politico ed istituzionale. È  così avvenuto che tutti i manicomi giudiziari (con l’esclusione di  quello mantovano che è un vero ospedale e, quindi, tutt’altra cosa!)  degenerassero come e più delle carceri. Perché gli O.P.G. erano, sono e  rimarranno, nei termini delle normative vigenti, carceri, concepite ed  organizzate come tali; carceri dalle quali si vorrebbe (nientemeno!) che  facessero assistenza adeguata, cura avanzata, riabilitazione e  reinserimento sociale di soggetti resi, nel frattempo, non più  pericolosi. Cioè tutto quello che non riescono a fare gli stessi servizi  psichiatrici territoriali, le cui disfunzioni e inadempienze sono,  appunto, una delle maggiori cause di ciò che è avvenuto negli O.PG.  negli ultimi anni!! Come già accennato dianzi gli “addetti ai lavori”  hanno, invano, chiesto, pregato, progettato, protestato, cercato di  sensibilizzare, aperto le porte dei vecchi manicomi criminali (ai quali,  ipocritamente, fu, tempo addietro, cambiato solo il nome, senza sapere,  o volere, incidere sulla sostanza) facendovi entrare i volontari, il  mondo femminile, insomma la comunità esterna, coinvolgendola in attività  prima mai realizzate dentro quelle tragiche mura e cercando alleanze  per far sentire la voce dei “dimenticati da Dio e dagli uomini” (voci  che nessuno, fuori da quelle mura, ha mai voluto ascoltare!). 
Privi,  alla lettera, di ogni risorsa, con un personale ridotto ai minimi  termini e senza formazione specifica (e costituito, nella componente  sanitaria, in larga parte da “avventizi” pagati ad ore o a prestazioni)  questi istituti si sono viste assegnate, soprattutto negli ultimi anni,  decine e decine di poveracci, indesiderati ed emarginati, provenienti  dall’ambiente libero o dagli altri istituti penitenziari destinati ai  cosiddetti “normali”. Sono così diventati alla fine (e come poteva  essere altrimenti!) delle pattumiere, delle vere e proprie discariche  sociali, perché questo si è voluto che diventassero nella assoluta  indifferenza ed ipocrisia delle compagini politiche succedutesi al  governo del Paese, nell’affaccendarsi vacuo ed inconcludente dei vertici  dell’Amministrazione Penitenziaria (fra l’altro sempre tenacemente  silenziosa rispetto all’ennesima campagna mediatica), nel pervicace  rifiuto di comprendere il problema da parte del “consesso civile” che  sempre volentieri rimuove dalla coscienza collettiva i luoghi di  segregazione che esso stesso ha creato illudendosi di curare, così, le  paranoie diffuse che lo affliggono in questa lunga fase crepuscolare che  scandisce i passaggi della post-modernità salvo, poi, dare la stura  agli eclatanti lavacri mediatici che rapidamente scorrono, tra una  pubblicità e l’altra, in attesa del prossimo motivo di “scandalo” tanto  lacrimevole quanto,a sua volta, fugace: quasi un rito collettivo ormai!
Orbene  ,Senatore, ci consenta di chiederLe quando la classe politica di questo  Paese ritroverà il coraggio di guardare in faccia la realtà, di  assumesi le proprie responsabilità e di fare le scelte necessarie  attuando quelle riforme che questo stesso Paese attende da troppo tempo?  Nel caso di specie gli O.P.G. vanno certamente chiusi, perché  assolutamente fuori dal tempo. Chiusi come da decenni grida proprio chi  vi lavora, spesso per 8 ore di seguito al giorno in mezzo ai malati in  un rapporto di 1 a 80, quando va bene. Malati deterioratissimi che  spesso nessuno (ma proprio nessuno, a cominciare da quelli che ora si  stracciano le vesti a tutti i livelli !) vuole prendersi in carico. Non  può concepirsi l’ulteriore permanenza di istituti diventati assurdi  contenitori di relitti umani, iperaffollati, senza possibilità di un  minimo di manutenzione delle strutture, di pagare i ricoverati lavoranti  (sono questi, tanto per essere chiari, a fare le pulizie, come i  detenuti le fanno in carcere), di svolgere tutte quelle attività di cura  ed assistenza che sarebbero assolutamente necessari, con pochissimi  psichiatri, praticamente senza psicologi e nel sistematico rifiuto alla  accoglienza da parte dei cosiddetti territori e delle istituzioni (si  pensi alla Regione Sicilia). 
Se  nei “fatali” giorni pre-natalizi del 2010, in cui il Parlamento è  rimasto chiuso per consentire al Presidente del Consiglio di questo  ineffabile Paese di rinserrare le fila del suo impalpabile governo e dar  vita alla vergognosa campagna acquisti cui, come cittadini, abbiamo  assistito attoniti, si fosse dato luogo, per non andar lontano, ad uno  sforzo di riforma di questi luoghi (stiamo parlando di circa 1500  persone senza nessun potere contrattuale, esattamente come gli operatori  che vi lavorano) forse avremmo risolto la questione senza dare luogo a  spettacoli televisivi i quali raccontano, come al solito, solo una parte  della realtà (quella che si vuol far vedere) e finiscono  invariabilmente per mettere in evidenza, una volta di più, la cronica  insipienza di un potere legislativo che volentieri assolve se stesso e  riversa, altrettanto volentieri, su chi, in prima linea, cerca  disperatamente di tenere in piedi ciò che, nella falcidie di risorse e  nel siderale ritardo dell’ammodernamento di strutture ed apparati  normativi, non è più gestibile: uno scarico inqualificabile di  responsabilità alla ricerca di capri espiatori da dare in pasto ai riti  mediatici ossessivamente iconolatrici ed ovviamente assolutori per chi  potendo scegliere non ha scelto e potendo fare non ha fatto (a  proposito, questo Governo, forse troppo impegnato nella “epocale”  riforma della giustizia, è il primo a non aver mai messo nell’agenda  della Commissione Giustizia la riforma del codice penale, soprattutto  nella parte che tratta delle misure di sicurezza detentive irrogate per  motivi di ordine psichiatrico!). 
Distinti saluti.
Partito della Rifondazione Comunista Messina