venerdì 31 ottobre 2008

Due pareri a confronto su quanto intende fare Berlusconi per la scuola con un nuovo decreto in coda a quelllo della Gelmini


Al fine di dimostrare l'obiettività di barcellonablog riportiamo due articoli d'orientamento opposto su un decreto con cui l'attuale governo intende riformare la scuola italiana. (Leggeteli entrambi)

primo articolo


Che ne sarebbe della scuola pubblica se passasse il ddl Aprea ?

Gli studenti saranno ostaggio dell’indottrinamento del familismo territoriale. I docenti, esautorati della libertà d’insegnamento.

di Maria Mantello

Mentre il “Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca” sta iniziando a praticare i pesantissimi tagli all’Istruzione statale tutta, come previsto dalla legge n° 1336 dell’agosto 2008, in Parlamento sta tranquillamente viaggiando la proposta del maggio di Valentina Aprea. Ex maestra elementare (diploma magistrale alle scuole cattoliche di Bari), ex direttrice didattica (laurea in Pedagogia al Magistero di Bari). Oggi in forza nella squadra di Berlusconi.

Il disegno di legge dell’on. Aprea porta il n° 953, ed è stato presentato alla Camera dei Deputati il 12 maggio 2008: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”.

Già nel titolo, sono enucleati i punti cardine di questo progetto, che ha come obbiettivo lo smantellamento della scuola statale, nel particolare “autogoverno delle istituzioni scolastiche” che introduce. Queste, trasformate in Fondazioni private, saranno gestite in nome della “libertà di scelta educativa delle famiglie” da vere e proprie lobby di familismo territoriale, con buona pace della libertà di ricerca e d’insegnamento che è la linfa vitale di ogni processo di formazione in un paese democratico. Il ddl 953, al contrario, pur richiamando costantemente la centralità degli studenti (che novità pedagogica!) li blinda in una concezione di famiglia-clan, dove ai figli si chiede conformismo ‘in nome del padre’. Ostacolando così quel sano processo educativo di emancipazione culturale e sociale, che passa anche attraverso l’irrinunciabile ruolo dello Stato (art. 3 della Costituzione) per rimuovere gli ostacoli (familiari compresi), perché ciascuno si autodetermini, libero di pensare e scegliere con la propria testa. Insomma di realizzare la propria appartenenza nel pluralismo della cittadinanza.

Il ddl. Aprea, al contrario, con la sua visione di autogoverno delle “istituzioni scolastiche” vorrebbe perpetuare la stasi del localismo territoriale, a cui è regalato un potere straordinario di gestione, progettazione e controllo sulle scuole statali:“Gli organi di governo concorrono alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, attraverso percorsi articolati e flessibili” (art.1.5). Lo Stato, privato del vero compito di istituire scuole pubbliche per ogni ordine e grado (art. 33 Costituzine) diviene semplice sussidiario, anche nell’erogare fondi: “La sussidiarietà diventa la stella polare di questo cambiamento”, recita il ddl. nell’introduzione.

Le nuove scuole saranno governate da un Consiglio di Amministrazione -si legge sempre nell’introduzione- che è “l'organo di gestione della scuola”. Ogni scuola statale, trasformata in “fondazione”, proprio come un’azienda, può “avere partner pubblici e privati che le sostengano, disposti a entrare nell'organo di governo della scuola”. Tutto ovviamente allo scopo di “innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell'istituzione scolastica”. Peccato che subito dopo si affermi, che “attraverso la trasformazione in fondazioni si vuole anche favorire una maggiore libertà di educazione che poggia sulla natura sociale dell'educazione: un'opera da svolgere entro quella società civile e quegli enti pubblici e privati più vicini ai cittadini, che devono essere riconosciuti a pieno diritto come espressione dell'azione pubblica”. Insomma il governo della squadra Berlusconi vuole giocare la partita dell’insegnamento e dell’apprendimento sul campo dei gruppi di tendenza prevalenti nel quartierino, “i rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”( art.1.2), che potranno finalmente avere una scuola pubblica a loro asservita.

Il democraticissimo e funzionalissimo Consiglio d’Istituto attuale, dove tutte le componenti della scuola sono già rappresentate, sarebbe sostituito così da un verticistico strumento politico-economico di controllo e gestione della scuola, formato da 11 persone, “compreso il dirigente scolastico, che ne è membro di diritto”. Ma in quali rapporti proporzionali i magnifici 11 sarebbero, non è dato sapere. L’assise governativa dovrà comunque avere al proprio interno (art.6.1): “l'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola” (come se il padrone di casa di un affittuario dovesse poi prendere, di diritto, parte alla gestione della famiglia), “esperti in ambito educativo, tecnico o gestionale” (chi sono?, quali titoli hanno?), “una rappresentanza dei docenti”, “dei genitori” e “negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti”.

Intanto alle private (paritarie) andranno i danari sottratti a quelle pubbliche. Anzi si legge nella presentazione del ddl 953, è proprio questa la sfida:“resta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all'istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie”. Vale appena sottolineare che in queste scuole di tendenza, che in Italia sono al momento soprattutto cattoliche, tutto sarà tranquillo, visto che chi comanda è l’ente gestore, di cui già per contratto i docenti sono tenuti ad abbracciare l’ideologia: “Nelle scuole paritarie la responsabilità amministrativa appartiene all'ente gestore” (art.1.7). Punto e basta! Per tutelarli da eventuali associazioni professionali di docenti, non conformi, e presenti sul territorio?

Maestri e prof. delle statali, intanto, dovranno fin che ne avranno le energie, e finché l’art. 33 della Costituzione Repubblicana non verrà cambiato, rivendicare che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Un principio, nato proprio dallo spirito resistenziale e antifascista, ma che se passerà il ddl Aprea sarà sempre più svuotato anche grazie alla “nuova” redifinizione della funzione docente. E’ inquietante infatti, come questo disegno di legge si preoccupi di sostituire abilmente libertà d’insegnamento con libertà didattica (art.5.1). Ognuno sa -e una pedagoga-pedagogista come la dott. Aprea non può non sapere-, che questa riguarda le strategie d’insegnamento di obbiettivi e contenuti prefissati.

E nel ddl. di cui ci stiamo occupando nostro malgrado, è proprio la libertà d’insegnamento ad essere sottoposta a vincoli, come si legge fin dall’introduzione: “La legge, nel dare attuazione al principio costituzionale della libertà di insegnamento, non può limitarsi alla mera definizione della libertà, ma ha il compito di stabilire regole precise con riferimento ai vari aspetti che incidono su di essa, come, ad esempio, il modo con cui si identificano le attività del docente, l'eventuale tipologia della funzione docente, i rapporti fra il docente e la scuola, i rapporti fra la scuola e gli altri pubblici poteri, le procedure di assunzione, la stabilità del rapporto, i princìpi su eventuali «carriere» eccetera.”; “In tale prospettiva il concetto di «stato giuridico» include, tra l'altro: l'identificazione (in che cosa consiste) e la configurazione (identica o differenziata) della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento”.

Insomma una libertà limitata e ben vigilata! Sottoposta a diversi controllori come abbiamo visto, a molti dei quali, per altro, nessuno chiede titoli culturali e professionali, quelli che i docenti hanno ovviamente, perparlare di scuola, progettare scuola, e fare scuola ogni giorno! E per moltissime ore al giorno.

Eppure saranno i clan del familismo, che magari nei confronti della scuola nutrono i livori per non aver preso bei voti, o per essere stati non sempre promossi… che maggiormente detteranno legge, visto che il docente deve procedere nella “sua funzione educativa… in collaborazione con la famiglia di ciascun allievo, e i relativi risultati educativi costituiscono l'oggetto della specifica responsabilità professionale del docente.” (art. 12.3). Poiché poi, tale “responsabilità” sarà valutata e costituirà anche elemento di progressione di carriera (anche economica):”le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti rientrano nella esposta nozione di «stato giuridico» e, dunque, nell'ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell'ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima (quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti)”portfolio personale del docente”. –introduzione), si capisce bene a quali meccanismi perversi si andrà incontro. Tanto più che si potrà arrivare anche in caso di formulazioni di giudizio negativo sul docente, come il ddl prevede “alla sospensione temporanea della progressione economica automatica per anzianità del docente. Le valutazioni periodiche costituiscono credito professionale documentato utilizzabile ai fini della progressione di carriera e sono riportate nel

Una vera e propria schedatura, dunque. E chi non supera l’esame, magari perché ne rifiuta anche il meccanismo perverso dei continui concorsi che il decreto prevede? Perché ha fatto già durissimi concorsi a cattedra ordinari. Perché ha già anni ed anni d’esperienza, e certamente potrebbe lui insegnare ai novelli “esperti” di nomina ministeriale? E forse saranno proprio i professionisti dell’insegnamento più bravi. Ve lo siete posto questo problema? Voi che intanto, per blindare l’autonomia professionale del docente, nel suo cardine della libertà d’insegnamento contro eventuali vertenze sindacali, prevedete nel ddl Aprea: “Al fine di garantire l'autonomia della professione docente e la libertà di insegnamento, è istituita l'area contrattuale della professione docente come articolazione autonoma del comparto scuola”. Una libertà a trattativa che già è preoccupante, ma come se ciò non bastasse, ecco pronta una altra gabbia di controllo: “le materie riservate alla contrattazione nazionale e integrativa regionale e di istituto sono individuate secondo criteri di essenzialità e di compatibilità con i princìpi fissati dalla presente legge".

Il decreto Gelmini era solo un aperitivo.

La vera rivoluzione della scuola cova in un progetto di legge firmato Valentina Aprea. Che non piacerà affatto ai paladini della mediocrità

di Roberto Persico
Ce n’est qu’un debut. Cioè il bello deve ancora venire. Il contestatissimo decreto Gelmini, infatti, contiene solo alcune misure urgenti, necessarie per far fronte alle distorsioni più gravi del sistema d’istruzione. Ma la vera rivoluzione si aggira silenziosa nei meandri della Camera, sotto le spoglie della proposta di legge 953, recante “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”, proposta dal presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati, Valentina Aprea. Scuole trasformate in fondazioni, risorse distribuite secondo il principio “i soldi seguono gli studenti”, carriera per i docenti, albi regionali degli insegnanti e un contratto ad hoc per la categoria: quando la 953 sarà approvata, la scuola italiana non sarà più quella che abbiamo sempre conosciuto. Vediamo perché.
Autonomia degli istituti scolastici. È la madre di tutte le riforme. Basta col papocchio postsessantottino dei Consigli d’istituto, parlamentini scolastici che giocano alla finta democrazia mentre le decisioni che contano rimangono saldamente nelle mani di viale Trastevere: dando piena attuazione al titolo V della Costituzione (riscritto, per chi avesse la memoria corta, dal fu governo D’Alema), le scuole verranno affidate a veri e propri consigli di amministrazione, responsabili in tutto e per tutto della gestione degli istituti e dell’amministrazione dei fondi che lo Stato affiderà loro. Composizione dei Consigli? Una novità inaudita nel monolitismo dello Stato italiano: ciascun Consiglio, di «non più di undici membri», «delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento, comprese le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei suoi membri». Tradotto: non sarà il ministro a decidere se in tutte le scuole della Repubblica dovranno esserci due o tre insegnanti, due o tre genitori, due o tre bidelli, con le relative infinite di-scussioni che negli anni passati hanno bloccato ogni iniziativa analoga; ma ciascuna scuola valuterà la composizione del proprio Consiglio, che potrà comprendere anche «rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi». Come a dire: siete maggiorenni, siete in grado di valutare da soli quale sia l’assetto più funzionale. E magari di cambiarlo, in tempi ragionevoli, senza attendere quelli biblici del Moloch di viale Trastevere. Accanto al Consiglio di amministrazione, il Collegio dei docenti, che si dota da sé di un regolamento che ne determini il funzionamento, e un «nucleo di valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico», composto da «docenti esperti» e anche da «membri esterni». Anche qui la composizione è lasciata alle singole scuole. Chissà se sapranno usare bene tutta questa libertà? E chissà se gli insegnanti troveranno il modo di lamentarsi anche di questa?

Le risorse seguono gli alunni. Tanto più decisiva la riforma degli organi di governo in quanto la legge prevede che le risorse necessarie al funzionamento delle scuole – tutte, da quelle per riparare il tetto a quelle per pagare i docenti – siano conferite tramite le Regioni a ciascun istituto, «sulla base del criterio principale della “quota capitaria”, individuata in base al numero effettivo degli alunni iscritti a ogni istituzione scolastica, tenendo conto del costo medio per alunno, calcolato in relazione al contesto territoriale, alla tipologia dell’istituto, alle caratteristiche qualitative delle proposte formative, all’esigenza di garantire stabilità nel tempo ai servizi di istruzione e di formazione offerti, nonché a criteri di equità e di eccellenza». I protagonisti, cioè, sono gli istituti, lo Stato fa un passo indietro: qui ci sono le risorse, nessuno ha ricette magiche, ciascuno provi la sua ipotesi, sarà la realtà delle cose (la soddisfazione di studenti e famiglie) a indicare quali sono le migliori, e a dirottare automaticamente con la propria scelta le risorse verso le soluzioni più efficaci.

Da istituti a fondazioni. Recita il Pdl (sic) 953: «Ogni istituzione può – a beneficio di tutti quelli che in questi giorni sbraitano che “le università diventeranno fondazioni”, sottolineiamo la parola “può”: ha la possibilità, può decidere, in base a una valutazione delle circostanze che è lasciata a ciascuna realtà – costituirsi in fondazione, con la possibilità di avere partner che ne sostengano l’attività», partecipando anche ai suoi organi di governo. È quel che nei paesi che ci sorpassano nelle classifiche Ocse-Pisa avviene abitualmente, è quel che già oggi le scuole più attente al rapporto col territorio, cioè al futuro vero dei propri studenti, cercano di fare, aggirando i mille bastoni che la normativa attuale mette tra le ruote della collaborazione col mondo reale. I soliti okkupanti abbaieranno che così si svende la scuola ai privati. Studenti, famiglie e insegnanti attenti alla realtà dei fatti sanno bene che il rapporto col mondo imprenditoriale significa miglioramento della qualità dell’offerta formativa.
Docenti in carriera. Non c’è cosa più frustrante, oggi, per un’insegnante, di vedersi trattato allo stesso modo di tutti gli altri, qualunque sia il proprio impegno. Dovunque – negli altri settori e nelle scuole di altri paesi – chi lavora bene viene premiato. Solo nella scuola italiana questo non avviene. In omaggio a un dogma sovietico, gli insegnanti sono tutti uguali. Con la nuova legge la professione docente è articolata in tre livelli (docente iniziale, docente ordinario e docente esperto) a cui corrisponde un distinto riconoscimento giuridico ed economico della professionalità maturata. La formazione degli insegnanti avviene nei corsi di laurea magistrale e nei corsi accademici di secondo livello, con la previsione di un periodo di tirocinio e la creazione di un albo regionale da cui attingere. Sono previste valutazioni periodiche dei docenti, in base all’efficacia dell’azione didattica. Che non è certo facile da valutare, ma se altri paesi ci riescono, noi siamo forse più stupidi?

Un contratto ad hoc. Dulcis in fundo, viene istituita un’area contrattuale della professione docente. Vale a dire: il contratto degli insegnanti sarà scorporato da quello di segretari e bidelli, mestieri indispensabili ma di natura differente. E scompariranno le attuali rappresentanze sindacali d’istituto (le famigerate Rsu) in cui sono sovente appunto degnissimi bidelli a decidere come vanno ripartite anche fra gli insegnanti le (poche) risorse aggiuntive. Forse anche l’Italia diventerà un paese moderno.

finis

Nella foto: Valentina Aprea e Mariastella Gelmini

4 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è bisogno di dimostrare l'obiettività di questo blog ?
Io penso proprio di no.
E, in ogni caso, ormai anche ai piu' alti livelli si sparano continuamente Balle, per cui una balla in piu' o una in meno (di barcellonablog) che male fa ?
Vada avanti con questo LIBERO blog, prof. Cilona, chè corrono brutti tempi.....

barcellonablog ha detto...

Grazie per l'incoraggiamento. finché c'è vita cè speranza. Ma la speranza è come una fiammella: per alimentarsi ha bisogno dell'olio. E mi auguro che un po' tutti contribuiscano portandone un pochino. Per non farla spegnere.

Anonimo ha detto...

“Non dobbiamo avere paura dell’azione dei malvagi, ma del silenzio degli onesti” – Martin Luther King

Anonimo ha detto...

Io direi dei finti onesti

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