domenica 19 ottobre 2008

LE PECORE E IL PASTORE: Una realtà romanzesca narrata dal nostro Camilleri


Se quello che Andrea Camilleri racconta a supporto del suo nuovo libro – un romanzo tra il triller e lo storico – è tutto vero c’è proprio da rabbrividire. Lo scrittore siciliano sostiene che la trama di “Le pecore e il pastore” (ed. Sellerio) si basa su un fatto vero accaduto verso la metà degli anni quaranta del secolo scorso, in un convento di clausura siciliano, dove dieci suore – le più giovani della comunità religiosa – avrebbero offerto la loro vita al Signore, in sacrificio, per ottenere la guarigione del loro Vescovo, giunto tra la vita e la morte per le gravi ferite riportate in un attentato. Commissionato da qualche signorotto, per avere il presule probabilmente appoggiato nelle loro rivendicazioni i contadini. Insomma una storia da medio evo, ancora possibile nella prima metà del novecento, in Sicilia, dove la mentalità feudataria è tardata troppo a morire. Camilleri afferma che l’inquietante vicenda, realmente accaduta, l’ha appreso per caso, leggendo un libro: era riportata in poche righe in una nota a fondo pagina di una biografia del vescovo di Agrigento, Monsignor Gianbattista Peruzzo, che il nove luglio del 1945, quando ancora in Sicilia c’era l’eco del passaggio degli Alleati, mentre si trovava nel bosco di Santo Stefano Quisquina, venne fatto segno di alcuni colpi di fucile, che lo ferirono in maniera talmente grave da fare temere per la sua vita. Il fattaccio accadde veramente, tanto che la magistratura aprì un'inchiesta e si svolse un processo che si concluse con la condanna del presunto attentatore, tale Onofrio Di Salvo. La notizia del grave ferimento del vescovo si sparse subito e quando le monache di un vicino convento – quello di Palma di Montechiaro – l’appresero, fu tale il dolore di quelle religiose da indurle a offrire addirittura la propria vita al Signore, purchè guarisse il loro pastore. E pare – sostiene Camilleri – che ben dieci suore, tra le più giovani del convento, s’immolarono, presumibilmente con un rigido digiuno prolungato nel tempo, fino alla morte. Il vescovo superò la crisi, ma dello sconcertante sacrificio rimase all’oscuro fino a quando, a distanza di anni – nel 1956 - la madre superiora del convento, la badessa Enrichetta Fanara, glielo rivelò in confessione. Camilleri riferisce che, quando venne a conoscenza di questo orribile particolare, rimase scosso, e tuttavia cercò di approfondire la notizia con ricerche ed indagini che alla fine lo portarono alla conclusione che valeva la pena utilizzare i dati raccolti per un suo nuovo romanzo. Appunto "Le pecore e il pastore". Questa versione, assolutamente tragica e sconvolgente, è stata accolta polemicamente dalle autorità ecclesiastiche. La Curia di Agrigento s’è affrettata a smentire lo scrittore , asserendo che si tratta di falsità. «E se morti ci sono state, in quel periodo nel convento di Palma, sarebbero avvenute per cause naturali: per malattie, come la tisi, che allora era incurabile, ed altri malanni. . Rimane tuttavia - conclude una nota della Curia - l’atto di fede che fa offrire la propria sofferenza o il proprio morire per unirlo all’offerta di Cristo sulla croce».


Francesco Cilona

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