Era trascorso un mese dalla travagliata notte in cui il senatore Santalco aveva dovuto rendersi conto d’avere definitivamente perso il controllo sul consiglio comunale. E ancora si attendeva la soluzione al problema creato dalle sue dimissioni da sindaco. Lo scioglimento del massimo consesso cittadino, da lui voluto, era stato annullato dal Coreco, e così era pure avvenuto per l’anomala elezione del nuovo sindaco. Bisognava riconvocare l’assemblea e riprendere di sana pianta il dibattito, dal quale sarebbe dovuta scaturire la soluzione del dilemma:. Il compito di organizzare la nuova seduta spettava al sindaco dimissionario, che però, non essendo d’accordo, tardava ad adempierlo. Il 3 dicembre, stando così le cose, l’assessore regionale agli enti locali, considerata l’obbligatorietà di tale adempimento, decise d’inviare a Palazzo Longano, tramite fax, una diffida , perché entro cinque giorni si disponesse la convocazione di una seduta straordinaria ed urgente del Consiglio per la ricostituzione degli organi esecutivi del Comune.. In appendice si intimava di rispettare la puntualità, perché in caso contrario si sarebbe attivata la procedura sostitutiva , prevista dall’ex art. 24 della legge regionale n.44/912. In altri termini, in caso d’inadempienza , l’Assessore prospettava l’invio d’un commissario ad acta, affinchè procedesse alla convocazione del consiglio, in maniera da consentire la formazione degli organi amministrativi. Dai sostenitori della tesi santalchiana, il tenore di quel fax venne considerato il frutto di una strumentalizzazione politica intesa ad umiliare il senatore, “reo” soltanto “d’avere avuto la capacità di gestire correttamente la cosa pubblica per 37 anni”. “Ma il caso – dissero – non finisce qui”. La reazione non tardò a venire. Gli undici dc che erano rimasti a sostegno del senatore, continuando il braccio di ferro, impugnarono immediatamente sia la decisione del Coreco, sia l’intimazione dell’assesore Ordile, presentando ricorso al Tar di Catania e chiedendo la sospensione di quei due atti, secondo loro, pregiudizievoli per la conduzione amministrativa del Comune, che avrebbe coinvolto la giunta dimissionaria, pur essendo il consiglio sospeso “ope legis”. Ormai s'era giunti alla carta bollata, e nessuno della vecchia amministrazione intendeva riconvocare il Consiglio. La città era già senza re e senza regno.
Nella foto in basso:Filippo Floramo v. sindaco uscente
Francesco Cilona
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