domenica 20 luglio 2008
Don Raffaele e Don Michele a confronto.
C'era una volta, a Barcellona, un signore di nome Michele. Faceva il regista, e pur avendo la stoffa per potersi affermare in campo nazionale non volle mai allontanarsi dalla sua città: perchè si sentiva legato alla sua terra d'origine ed anche ai suoi interessi di proprietario terriero. Il suo cognome, è superfluo ricordarlo, perchè tutti avranno capito che sto parlando di Michele Stylo, un liberale tutto sui generis che non disdegnava difendere l'era borbonica: o meglio un borbonico sui generis che non rinunciava a "fare" il liberale, anzi il capo dei liberali dei suoi ultimi tempi. Lui capiva una cosa sola: che la vera libertà si attinge nell'Arte e che nessuna costrizione deve impedire il progresso dell'Arte.
Per questo, per esempio, dalla sua radio Barcellona, reclamò sempre la rinascita del Teatro Mandanici, e costantemente osteggiò la presenza dei pseudoportici costruiti sul "sacro suolo" di quel teatro distrutto, per violentare qualsiasi nostalgia di ripristino. Libertà quindi d'espressione fino alla massima conseguenza. E non ebbe remore neppure quando sentì il bisogno di esprimere il proprio pensiero polemico in una lettera aperta ad un magistrato. Perchè lui era fatto così: quello che sentiva di dovere dire non era capace di tenerselo dentro. Non credeva all'unità d'Italia, perchè era convinto che non era nata per libera scelta di un popolo desideroso di compattarsi. E sicuramente fu più spontaneo - perchè meno politicizzato - di don Raffaele, il nostro nuovo governatore che, guarda caso, proprio in questi giorni, ha affermato che non si sente di festeggiare l'unità d'Italia, allorché sarà commemorato il suo 150° anniversario.
E sappiamo perchè Lombardo si esprime così: perché l'unificazione sarebbe stata la causa del peggioramento delle condizioni del Mezzogiorno e del conseguente squilibrio tra Nord e Sud. Infatti, dice Raffaele Lombardo, "nessuno può negare che gli eredi degli emigranti pre-unità parlano il veneto, il friulano, il piemontese; mentre gli eredi degli emigranti post unità e di dopo le due guerre mondiali parlano pugliese, calabrese, siciliano..."
Il che significherebbe - secondo il capo dell'Mpa - che l'Unità e le due grandi guerre avrebbero immiserito il Meridione, tanto da indurre i suoi figli a cercare pane in terra straniera.
E' probabile che un fondo di verità storica ci sia...
Tuttavia - forzata o no - l'Unità ormai c'è e disfarla sarebbe un gravissimo errore.
E il discorso vale per gli autonomisti del sud e i per secessionisti del nord, i quali non dovrebbero dimenticare che, se ancora non si è riusciti a fare gli Italiani, la responsabilità è di tutti, ed in modo particolare dei politici che, da dovunque provengano, una volta conquistata una poltrona, si dimenticano della propria origine e del proprio elettorato.
Francesco Cilona
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